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MOTI SICILIANI - RICORDANDO I CAMICIOTTI E ROSA DONATO


Dopo la commemorazione del 1° settembre scorso, la città di Messina domani, sabato 7, alle ore 17,00 in Via Cesare Battisti, ricorda i Camiciotti, patrioti messinesi che morirono nel pozzo adiacente alla Casa dello Studente, il 7 settembre 1848, per difendere gli ideali di libertà legati alla porta della Sicilia. Alla presenza del presidente della IV circoscrizione, Francesco Palano Quero, e del consiglio, sarà posta una targa commemorativa per i “Camiciotti”. Il Consiglio della IV circoscrizione ha ritenuto doveroso ricordare l'avvenimento storico culturale e valorizzarne il sito. L'associazione culturale "La Sicilia ai Siciliani" ha voluto realizzare e donare una targa in bronzo a Messina con l'obiettivo di consentire così ai cittadini e agli avventori di conoscere pezzi di storia della città dello Stretto.

Cenni storici

Nel 1848, nuovamente ribellatasi ai Borbone di Napoli, Messina subì per otto mesi pesanti bombardamenti da parte dei cannoni della sua stessa cittadella, in mano all'Esercito delle Due Sicilie e dovette ancora una volta capitolare alle truppe comandate dal generale Filangeri che la flotta borbonica riuscì a sbarcare. Questi bombardamenti procurarono al re Ferdinando II di Borbone il soprannome di Re Bomba. I messinesi si difesero con grande eroismo, ma alla fine dovettero cedere. Alcuni giovani, detti Camiciotti (cioè in camicia), per non arrendersi si gettarono col tricolore nel pozzo del convento della Maddalena. Quel pozzo c’è ancora e si trova nel cortile dell’odierna Casa dello Studente. 

"I Camiciotti erano dei giovanissimi volontari che indossavano una corta blusa a forma di camiciotto; essi si scontrarono con il reggimenti svizzeri e resistettero eroicamente agli avversari finché furono costretti a rifugiarsi nel convento dei Benedetti. Dopo ripetuti assalti e cruenti corpo a corpo, si asserragliarono nel cortile di Santa Maria Maddalena che era la chiesa del convento. Combatterono come leoni decimando gravemente le truppe nemiche. L’edificio alla fine fu invaso dagli avversari e i Camiciotti continuarono a lottare negli androni e nei corridori fino a quando, ormai stanchi e di numero estremamente ridotto, furono spinti nel cortile del convento intorno al pozzo. Quando si resero conto che non c’era più nulla da fare, piuttosto che arrendersi, preferirono buttarsi a capofitto nel pozzo dove trovarono la morte. I ruderi del pozzo della Maddalena sono ancora visibili nel cortile interno dell’edificio della “Casa dello Studente” in via Cesare Battisti.
Dal libro “Santi, Banditi, Re, Fate e … Odori”.

Questi i nomi di alcuni di loro: Antonino Bagnato, Carmelo Bombara, Giuseppe Piamente, Giovanni Sollima,  Diego Mauceli, Pasquale Danisi, Nicola Ruggeri. Altro eroe di questa rivoluzione fu Antonio Lanzetta, che per le sue azioni di eroismo fu dichiarato benemerito della Patria e gli fu dato il grado di capitano d’artiglieria. Messina indomita cadeva l’8 settembre 1848 dopo 5 giornate di disperata difesa e di sforzi sovrumani.
Ma le pagine della storia si tinsero di rosa grazie all’eroismo e al coraggio di donne come Rosa Donato detta "la cannoniera" simbolo di audacia e abnegazione.


"Sotto il cielo infuocato di Messina, nei primi giorni del settembre 1848, la quarantenne Rosa Rosso Donato porta un fazzoletto tricolore al collo e combatte con il grado di caporale, riconoscimento conquistato sul campo per essersi postasi a scudo umano, salvandosi miracolosamente, per difendere dal fuoco nemico Antonio Lanzetta, capo artigliere dei rivoltosi assediati. Prima della rivoluzione - che da gennaio, partendo da Palermo, ha visto insorgere Messina, Catania, Agrigento, Caltanissetta - tosava i cani, moglie di uno stalliere, figlia di un cuciniere. E’ analfabeta. Non sa nulla delle giovani menti che guidano la rivoluzione - Rosolino Pilo, Giacinto Carini, Giuseppe La Masa, Francesco Crispi -  scoppiata il 12 gennaio, compleanno di re Ferdinando II, con la chiamata di Palermo “all’armi”. Nulla dei suoi anziani “governanti” - Francesco Paolo Perez, Ruggero Settimo e Vincenzo Fardella di Torrearsa - che lanciano la sfida autonomista e dichiarano decaduta la dinastia borbonica. Nulla delle infruttuose trattative per convincere il figlio di Carlo Alberto ad accettare il trono vacante. Nulla della Sicilia diventata la miccia che accende la polveriera della rivolta in tutta Europa: in sequenza Napoli, Firenze, Parigi, Torino, Roma, Vienna, Budapest, Berlino, Venezia, Milano. Ma la analfabeta tosatrice di cani ricorda - anche se aveva 12 anni - le condanne a morte che chiusero i moti del 1820 per strappare la costituzione a Ferdinando I, dopo aver imposto la centralizzazione del regno delle due Sicilie a Napoli, la miseria ancora più nera per il popolo. Rosa però sa quanto il seguente regno del figlio di Ferdinando, Francesco, sia stato, se possibile, ancor più reazionario, come Austria comandava. Quanto lo strapotere delle guardie private dei feudatari si sia andato facendo potere trasversale, mafioso. Quanto le vendette private facciano scorrere il sangue mescolandosi alle rivendicazioni politiche (a Cefalù, nel ‘20, ci furono anche delle decapitazioni, una persino di una donna, Maria Ciurella). E Rosa, in quella estate del ’48, sa che quello che sta sfidando è il “Re Bomba” che sta cannoneggiando incessantemente i rivoluzionari guidati dal 33enne Giuseppe La Farina, poi stretto collaboratore di Cavour. Otto mesi prima, il 29 gennaio, anche lei è in strada quando la città insorge, due settimane dopo Palermo. Si ritrova a spingere a forza di braccia, insieme ad altri messinesi, il carretto su cui il 36enne Antonio Lanzetta ha piazzato un vecchio cannone tolto ai borbonici, con cui fermano una prima avanzata dei borbonici. Rosa, al fianco di Lanzetta, che guida gli artiglieri della città assediata, per 8 mesi non lascia praticamente mai l’arrugginito fusto posto a difesa delle mura nord-ovest, impegnato nella vana impresa di espugnare i mercenari svizzeri asserragliati nella possente Cittadella. Al suo fianco i giovani della squadra “Vittoria o Morte” guidati da Antonino De Salvo, detto “Pagnocco”, che combattono con la scritta “Vincere o morire” sul berretto e che ad agosto, incuranti del fuoco nemico, scavano sotto le macerie dell’arsenale tirandone fuori una ventina di cannoni. Un ragazzino, Guargera, che corre dietro alle palle dei cannoni per spegnerle, il 24 agosto perde tutte e due le braccia in un scoppio. E ha la forza di dire ai medici: “Fate presto a guarirmi, perché se non ho più le braccia, mi restano ancora i denti per mordere i realisti”. Quando, il 3 settembre, spuntano dal mare le navi da guerra dei 24mila uomini comandati dal generale Filangieri, Rosa non si sposta dal suo cannoncino. Ed è ancora lì dopo tre giorni di bombardamenti. Ed è lì dopo che, la città ormai in macerie, vede le truppe regie entrare in città e far strage, senza risparmiare  donne e bambini. Tale è la ferocia della repressione (dovrà intervenire la diplomazia dell’Inghilterra, che esercitava una sorta di protettorato sull’isola, per fermarla) che un gruppo di giovani volontari, chiamati Camiciotti, preferirono suicidarsi buttandosi nel pozzo di un convento - oggi nel cortile della Casa dello Studente - pur di non essere catturati. In quegli ultimi giorni disperati dell’assedio Pagnocco si mette a capo di una squadra per stanare gli svizzeri asserragliati nel palazzo Loffreda, arrampicandosi con delle scale sul tetto. Viene ferito gravemente e insieme ad altri, inseguiti, si riparano in una vicina chiesetta. I borbonici vi appiccano il fuoco e li lasciano bruciare vivi. Il cannoncino di Rosa sarà l’ultimo a tacere, il 7 settembre. Quando i nemici stanno per colpirla con le baionette, incendia un cassone di munizioni. Nello scoppio uccide 40 soldati e viene travolta dalle macerie. Incredibilmente si salva. Coperta di sangue, tace i lamenti, si finge morta. Torna a Messina e viene arrestata. Per 15 mesi resiste alla durezza della prigione e anche alle torture. Ma non parla. Liberata, visse poverissima, costretta a mendicare. Ma allunga la mano solo davanti agli studenti universitari, i giovani che, crede, cambieranno il suo mondo. E sono gli unici che la ammirano davvero. Lei bacia le mani dei ragazzi che le danno una moneta. Ma c’è chi si piega a baciare le sue di mani, quelle del simbolo vivente della rivolta anti-borbonica. E infatti la polizia la spia e finisce per arrestarla e liberarla ancora un’altra volta. Eppure, solo poco prima di morire, nel 1867, a 59 anni, riceverà un piccolo sussidio dal municipio. Anni dopo l’Unità italiana le verrà dedicata una lapide, in via Primo Settembre, che recita: “Dina e Clarenza eroine della Guerra del Vespro ebbero nel 1848 su questa via e al Forte dei Pizzillari emula gloriosa l’artigliera del popolo Rosa Donato”. Fonte© 9Colonne"



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5 Commenti
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  1. Questi fatti testimoniano la ricchezza di passato glorioso della Città di Messina,che va sempre ricordato,non per una vana esaltazione
    retorica fine a se stessa,ma per rinsaldare quel filo che lega il passato al futuro,rinverdendo nel presente specie fra le giovani generazioni quell'amore disinteressato per la città,in quanto comunità di uomini e di donne,che deve essere la base di ogni azione politica ed amministrativa.

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  2. C'erano anche loro Giuseppe,addirittura si offerse la corona di Sicilia al figlio di Carlo Alberto di Savoia e poi la presidenza della Repubblica Siciliana a Ruggero Settimo,altra cosa à il giudizio che anch'io dò sull'indipendentismo,come fatto velleitario ed antistorico,altra cosa sono i fatti reali.

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  3. E di grazia ci racconti i suoi di fatti reali......la costituzione del 1848 per rimanere sull'evidente...l'ha letta. ???? Consiglio la sua lettura in particolare l'art 2

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  4. Ma si contraddice tra l'altro nello scrivere Repubblica Siciliana

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  5. I fatti storici parlano con i documenti.
    La costituzione siciliana del 1848 all'articolo 2 recitava così:
    "La Sicilia sarà sempre Stato indipendente.
    Il Re dei Siciliani non potrà regnare o governare su nessun altro paese.
    Ciò avvenendo sarà decaduto ispo facto.
    La sola accettazione di un altro pincipato o governo lo farà anche incorrere ipso facto nella decadenza"

    Questa costituzione voluta dai Siciliani e reperto documentale reale è dimostrazione di quanto non vi fosse nulla di pre unitario o di accenno ad una lotta per l'unità d'Italia.
    La Sicilia voleva essere indipendente e non voleva concorrere alla presunta unità d'Italia nè a ciò che poi è avvenuto, ovvero all'annessione della Sicilia ai Regno dei Savoia. Un Re che diventa sovrano di un nuovo regno non mantiene il vecchio titolo, cosà che invece il buon Savoia dall'alto della sua annessione fece.
    Bisogna far parlare i documenti!

    http://www.lasiciliaaisiciliani.org/images/sicilia/art2_cost_sicilia_1848.jpg

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